La celebrazione della festa della Liberazione , nasconde dietro mille storie di mille episodi ,  che il 25 aprile è una festa/celebrazione dalla Liberazione definitiva dal governo fascista fantoccio e collaborazionista, di Salò (città in cui furono spostati i ministeri più importanti del governo) e dall’occupazione nazista.                                                                                             Il 25 aprile è “divisivo” :   divide tra prima e dopo.

 

Niente è più divisivo del 25 aprile e si festeggia proprio perché quel giorno di 76 anni fa. L’Italia si liberava da un regime fondato sulla sopraffazione dell’uomo, sull’uomo, e sulla violenza, che aveva privato i suoi cittadini dei diritti e delle libertà fondamentali, gettandoli nell’abisso della crisi economica, e quindi della miseria e della fame, nella vergogna eterna del razzismo di Stato, nella tragedia immane della guerra mondiale che spezzò la vita a 472mila italiani, un terzo dei quali civili.

E’ proprio per questo che tutta Italia festeggia.

Perché prima del 25 aprile si stava peggio.    

Vanno aggiunti i morti per le violenze squadriste, quelli incarcerati, i soldati uccisi nelle guerre in Etiopia e in Libia e chi perse la vita per le pessime condizioni sanitarie e al Confino. Durante il regime fascista, vengono condannati al “confino”, dopo un periodo più o meno lungo di carcere, i più importanti intellettuali e politici antifascisti; vengono inviati in luoghi distanti da quelli di origine, in modo da creare una separazione materiale e psicologica tra tali oppositori e il resto del paese. Un numero di decessi  che sorpassa le cifre delle morti italiane in qualsiasi altro evento storico e che fanno del fascismo l’avvenimento più mortifero della storia di questo Paese. Se mai c’è stato un genocidio sistematico del popolo italiano, questo genocidio è stato avviato, più o meno coscientemente, dalla tirannide fascista”. Per tutto questo il 25 aprile è divisivo.

Per questo è la Festa di tutta Italia.

Dei numerosi, tragici episodi legati alle lotte della Resistenza e alle susseguenti sanguinose rappresaglie nazifasciste, alcuni, oggi vengono ampiamente e giustamente ricordati con grandiosi monumenti commemorativi, e annuali cerimonie di richiamo (per ricordare qualche nome: Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Fosse Ardeatine, Boves…). Altri, la maggior parte purtroppo, sono rimasti quasi sconosciuti e, con la scomparsa degli ultimi testimoni, oggi ultrasettantenni, corrono il rischio di venire del tutto dimenticati.     Uno di questi episodi “minori”, avvenne, appunto, in località Monte, nel comune di Castignano.       Era il 16 giugno 1944.      

Proprio in quei giorni, nel corso di un’azione partigiana, era stato ucciso un soldato tedesco che stazionava proprio nel paese insieme ad un altro commilitone , e come consuetudine e prassi, sulla base degli ordini impartiti da Hitler, il comandante tedesco avrebbe dovuto uccidere dieci italiani per ogni tedesco. Sennonché, questo comandante, di fede cattolica ed anche osservante della stessa, non ebbe cuore di eseguire gli ordini alla lettera. Effettuato il rastrellamento, e catturati i primi quattro italiani capitati a tiro, li fece condurre proprio sotto la Quercia, dove vennero fucilati. Per tutti e quattro, è facile e triste immaginarlo, la grande chioma della Quercia, che li avvolgeva con il suo abbraccio materno, fu l’ultima immagine che i loro occhi videro, prima del buio della morte. Due dei quattro, appartenevano alla famiglia Villa ed uno, Giuseppe, era proprio il fratello di Francesco Villa, proprietario della quercia  e promotore della realizzazione del monumento ai caduti  di quella rappresaglia.