Sul cappello del mondo,
c’era un orsetto,
un orsetto candido come
il latte zuccherato
dal pelo morbido, soffice,
delicato e splendente,
luminoso e lucente;
non era aggressivo
e feroce come
una belva affamata
ma docile e quieto.
Quest’orsettino decise
nientemeno di scalar
la montagna,
ma quella di ghiaccio,
la massa di ghiaccio,
nient’altro che l’aisberg
perché il suo nome
svettasse in cima.
Prese piccozza, chiodi e corda
e da bravo orsetto
la scalata iniziò.
Sul quel gelido ghiaccio
le tenere zampine
non si azzardarono
a muoversi un po’
e il povero a scalar faticava.
Lento fu il processo
perché ‘orsetto a
usare il minuscolo
cervelletto non si ingegnò
e si tuffò nello
specchio d’acqua
che risplendeva
azzurrino con
sopra il ciel cobalto e
sfumato
per abbroccar qualche pesciolino
guizzante o qualche
sperduta foca.
Quella montagna,
ma quella di ghiaccio,
scivolava verso
la pancia del mondo
e riscaldata dal calore
del cocente sole
non esitò a
non sciogliersi e
l’orsetto, dopo un
pisolino, vide che
le sue pelose zampine
erano sfiorate dalla
gelida e splendente
acqua:
quella massa,
però quella di ghiaccio,
si era sciolta in acqua
come la torta
in un tiepido brodo.
Il tenace scalatore
arrivò alla cima
ma che era in
pericolo si accorse
e gridò forte,
ma così forte
che Nettuno lo sentì
e a compassione
in un orso marino
lo trasformò.